Quali strategie per aiutare le donne a rischio emarginazione?
Sentirsi invisibili, il senso di colpa, la vergogna, l’abbandono, la solitudine. Possono essere queste, declinate nell’esperienza personale di ciascuna, le parole di riferimento per interpretare l’esperienza delle donne in gravi condizioni di marginalità. I progetti Out of Shade e Shelt(h)er, di cui MondoDonna Onlus è capofila insieme ai partner Società Dolce e ASP Città di Bologna, e sostenuti dai finanziamenti della Regione Emilia-Romagna e dell’8×1000 della Chiesa Valdese, sono la risposta sperimentale ai bisogni delle donne senza dimora. Prossimità, ascolto e formazione specifica delle operatrici possono essere la chiave per immaginare servizi e strutture ad hoc in grado di offrire supporto alle donne che vivono in strada.
La violenza sulle donne che vivono in strada è data molto per scontata, le donne senza dimora sono in condizioni di estrema fragilità. In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della povertà, una tavola rotonda ha presentato i “Servizi antiviolenza per donne a rischio emarginazione”, realizzati nelle strutture della GEA Centro Beltrame, Madre Teresa di Calcutta e Casa Willy. Chi sono le persone senza dimora a Bologna? Quante sono? E in che percentuale maschi e femmine? Queste sono domande (e risposte) sono fondamentali per capire sia come sono strutturati i centri di accoglienza, sia i servizi che sono presenti in città. E da queste premesse, di fatto, si possono evidenziare i bisogni delle donne che vivono in strada. Perché la strada, e i servizi messi a disposizione delle persone in gravi situazioni di marginalità, non sono fatti per donne.
Ce lo spiegano i numeri: secondo i dati raccolti da ASP Città di Bologna nel 2021 le persone intercettate tramite lo sportello Helpcenter sono state 2800.
«Se, però, le persone non sono passate dai nostri servizi, non vengono registrate in questo numero». È quindi sensato stimare anche un numero maggiore di persone in grave difficoltà a Bologna. Circa 550, sul totale, sono donne: perciò il fenomeno della grave emarginazione adulta si divide in un 85% costituito da uomini e il restante donne. «Quello su cui è importante mettere l’attenzione – sottolinea Nicolini di Asp Bologna – è che i servizi sono costruiti pensando di avere come utenti uomini, in quanto costituiscono la netta maggioranza. È necessario un cambiamento culturale». Le donne attualmente accolte nelle strutture sono 220, mentre circa 50 sono in carico al servizio sociale bassa soglia.
«Il grosso problema è che le donne senza dimora che subiscono violenza spesso sono costrette a convivere con il maltrattante, perché l’accoglienza non prevede una divisione tra donne e uomini. Dobbiamo sperimentare una struttura che possa permettere a queste donne di sentirsi protette. Non possono essere le case rifugio che normalmente mettiamo a disposizione per gli altri casi di violenza di genere, perché parliamo di una specificità, di donne che hanno dei bisogni diversi. Le varie declinazioni del fenomeno della violenza di genere vanno studiate e poi devono essere offerti dei servizi e aiuti cuciti su misura, con strutture ad hoc», spiega Loretta Michelini presidente di MondoDonna Onlus.
Chiara Rosa, referente del servizio antiviolenza CHIAMA chiAMA – coordinamento dei due progetti Out of Shade e Shelt(h)er: «Come antiviolenza ci siamo scontrate con il fatto di dovere accogliere donne con bisogni complessi: sanitari, psichiatrici, bisogni di base e sociali. Magari dipendenti dall’alcol, portatrici di vissuti di violenze e discriminazioni multiple». La violenza fondata sul genere rappresenta solo un anello della catena di tutte le violenze che queste donne hanno subito e subiscono da anni. Come conseguenza si instaura un meccanismo di interiorizzazione della violenza per cui «fanno fatica a riconoscersi come vittime e quindi faticano a chiedere aiuto».
Il centro antiviolenza, prima di iniziare a lavorare con le donne in grave emarginazione, si è posto il problema di fare in modo che lo sportello fosse accessibile anche a persone che vivono queste situazioni estreme. «Era importante partire con la formazione antiviolenza e grave emarginazione adulta, in modo da strutturare una metodologia ad hoc. Si sono poi individuate delle educatrici ed educatori che fossero delle antenne all’interno delle strutture di accoglienza (casa Willy, Madre Teresa, centro Beltrame)».
Le antenne svolgono un ruolo di ponte tra il posto dove vivono le donne e l’antiviolenza. Si è trovata una formula per portare il centro antiviolenza nelle strutture, cercando quindi la vicinanza con le donne senza dimora: è nato così lo “sportello mobile” in cui in tandem sono un’operatrice dell’antiviolenza e un’educatrice della struttura di accoglienza.
«Queste operatrici offrono una prima informativa che è utile per parlare e interagire con queste donne e fare capire loro che ci sono delle possibilità e delle vie di uscita dalla violenza», continua ancora Rosa. Un primo passo fondamentale perché si sentano viste, e, forse per la prima volta nella loro vita, riconosciute e protette. La letteratura sul tema della violenza sulle donne senza dimora, in Italia, è carente, come se oltre a rendere invisibili queste donne la strada portasse via loro anche la possibilità di essere raccontate e aiutate. Come se, con la retorica “la strada è un posto duro, la violenza sulle donne – che passa in sottotraccia – fosse data per scontata e quasi, in un certo senso, condonata.
L’impegno di MondoDonna Onlus, e dei partner Società Dolce e ASP Città di Bologna, è quello di creare delle relazioni con queste donne, anche attraverso forme sperimentali come lo sportello mobile. Non solo, ma anche attraverso laboratori di arte e musicoterapia.
Perché non ci si salva da soli, perché è nella relazione che queste donne devono potere sperare e credere di nuovo e, questo, chi lavora per contrastare la violenza lo sa bene.